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Il mio viaggio a Trieste e dintorni

Triste è una città vivace e diversa da come mi immaginavo…

Avevo espresso da più di un anno il desiderio di visitare questa città con la mia famiglia, ma a causa di impegni ed imprevisti vari, non è stato possibile farlo prima di questa settimana.

Lunedì siamo partiti in macchina e abbiamo preso l’infelice decisione di passare il giorno e la notte a Vicenza; dei sette possibili giorni, abbiamo beccato quello di chiusura. Abbiamo visitato l’unico luogo aperto: Villa Valmarana, famosa per gli affreschi del Tiepolo e le statue di nani sul muro dell’ingresso.Vedendole dal giardino, è facile capire che in passato erano in posti diversi: alcune sono scolpite a tutto tondo, ma le altre hanno una superficie piatta al posto della schiena.

Mia sorella – laureatasi con lode ai beni culturali – adora il Tiepolo e alcuni dettagli sono davvero notevoli; in una sala, Achille sembra scivolare fuori dalla parete. Non oso immaginare se qualcuno ci entrava da ubriaco.L’abilità di questo artista è evidente anche ai profani, ma ciò non toglie che personalmente non vado matta per l’arte italiana del Seicento. Visto un putto (quei bambini alati e paffuti nudi o seminudi) li hai visti tutti e nel Seicento sono ovunque. Che il soggetto dell’opera sia un santo, una divinità pagana o allegorie personificate, non importa, se è del Seicento puoi scommettere quello che vuoi che ci troverai anche putti svolazzanti e nuvole. Ciò non mi ha impedito di godere della visita: trovare ambienti affrescati così bene e totalmente non è cosa di tutti i giorni. Per comprendere e apprezzare la visita è stata utile la guida cartacea fornita all’ingresso e la mia personale fissazione per il Furioso e la Gerusalemme Liberata. Ho potuto identificare buona parte degliepisodi affrescati. Un dettaglio che può sfuggire ai meno attenti è un vaso in stile finto orientale nella sala dell’Eneide, che tra altri particolari stilizzati, presenta degli aeroplani da guerra, a memoria di come quella sala e parte della villa fu distrutta da un bombardamento aereo degli Alleati.

Le sale sono uno spettacolo e nonostante il meteo inclemente e i lavori di restauro in corso, si può dire lo stesso del giardino. Si vedono campi, colline e città immerse nel verde. Alcune piante sono molto antiche e rare.

La foresteria (in sostanza la villa per gli ospiti) fu affrescata dal figlio del Tiepolo ed è a sua volta una festa per gli occhi. Contiene anche un caffè dove è possibile fermarsi a mangiare qualcosa, ma ovviamente era chiusa perché era lunedì.

Il mio personale consiglio è di saltare la sala della proiezione immersiva; aiuta a farsi un’idea delle vicissitudini della villa, ma alcuni aspetti hanno un po’ lasciato a desiderare. Ad esempio le truppe napoleoniche che davano la carica con la stessa voglia di impiegati sottopagati all’ultima ora del venerdì, e gli aerei sbagliati (furono quelli Alleati a colpire la villa, non quelli tedeschi).

Il giorno dopo, anziché partire subito per Trieste, abbiamo deciso di trattenerci ancora a Vicenza per visitare alcuni monumenti: il teatro Olimpico, la chiesa di Santa Corona e Palazzo Montanari.

Il primo è stato scelto all’unanimità da tutti meno che dalla sottoscritta, ma sono stata contenta di averlo visitato; non avevo idea che il primo teatro coperto dell’epoca moderna fosse a Vicenza o avesse quell’aspetto. Sembra di trovarsi in una versione molto più piccola del Colosseo, con marmi bianchi, un finto cielo e decine e decine di statue del 1500 i cui volti ritraggono famosi letterati del tempo assieme ai fondatori e committenti del teatro in vesti romane.

Se non è una traccia dell’essere fanboy verso un’altra epoca, non so cos’altro possa essere. Mi è venuto da sorridere pensando a come dei romani antichi avrebbero reagito; probabilmente con confusione, visto che le statue, ai loro tempi, erano dipinte con colori vivaci non sopravvissuti ai secoli.

Sullo sfondo si vedono edifici in prospettiva; lo spazio effettivo è molto inferiore a quanto sembri.

Napoleone voleva portare in Francia quelle statue e vi rinunciò soltanto perché non erano di marmo, bensì di una mistura di gesso e cartapesta che non avrebbe retto al trasporto.

Dopodiché siamo andati a visitare la vicina chiesa della Santa Corona, costruita nel 1200 per una (supposta) spina della corona di Cristo. È bellissima e piena di cose notevoli, come il resto dell’affresco di una Madonna del 1400 e la tomba di Luigi da Porto, colui che per primo scrisse la storia di Giulietta e Romeo, ambientata non a Verona, bensì nelle vicinanze. Ma i dettagli più splendidi sono due: la cappella del rosario e l’altare.

Se esiste qualcosa in grado di farmi rivalutare e forse persino innamorare dell’arte italiana del Seicento è quella cappella. Quadri affissi sul soffitto a perdita d’occhio, al punto da far sembrare quella cappella una mini-chiesa a sé. Il colpo d’occhio è impressionante, ma al tempo stesso consolante. Non è una visione che schiacci e intimorisca l’osservatore, ma un caleidoscopio di calore umano, visto che il soggetto dei quadri è la Madonna, ritratta con grande delicatezza nelle varie fasi della sua vita. Il fedele è invitato a trovarvi confortoattraverso i misteri del Rosario, che comprendono momenti gioiosi e quotidiani, ma anche luttuosi.

Un altro oggetto presente nella chiesa e ingiustamente non nominato da Wikipedia è l’altare, opera di maestranze di lapidari (ossia esperti nella lavorazione del marmo) fatti venire a Vicenza per ordine del vescovo. Impiegarono venticinque anni di lavoro per scolpire l’altare: da lontano sembra dipinto, ma in realtà è un’opera di intarsio straordinaria. L’unica cosa dipinta è lo sportello in legno che ospita le ostie consacrate. Tutto il resto è in pietra, o, meglio, una combinazione di pietre e minerali differenti che crea l’illusione della pittura. Senza avvicinarsi è difficile notarlo. È da restare senza fiato.

Dopodiché siamo andati nel vicino Palazzo Leoni-Montanari risalente al Settecento. È una struttura barocca piena di affreschi mitologici, allegorici e riferimenti alla Storia di allora (come la sala dei quattro continenti dove c’è anche l’allegoria dell’America, ma non dell’Australia che non era ancora stata scoperta). La sala dove nel soffitto si assiste al Trionfo della Verità portata in alto dai putti mentre sotto l’Ignoranza e la Frode restano a rosicare mi è rimasta impressa. Mi si stava incriccando il collo a furia di guardare il soffitto, ma ne è valsa la pena. C’è anche un piccolo museo che mi ha aiutato a fare un bel ripasso dei paesaggisti veneti, a rivalutarli in positivo, nonché (secondo il flyer) la più importante collezione di icone russe in occidente.

Avendo una fascinazione per le icone bizantine e quello stile artistico-religioso, non potevo perdermela. Non è scontato che delle tavole di regno trattate e dipinte riescano a resistere per seicento anni e più. Ho visto dal vivo delle icone così famose da essere spesso usate come illustrazioni e/o copertine nei libri di Storia, arte e teologia ed è stato emozionante. Mi sono rimasti impressi in modo particolare un Giudizio universale e alcuni calendari di santi; sono temi trattati da molti artisti, ma riuscire a renderci giustizia in uno spazio minuscolo richiede un talento notevole. Per un attimo avevo addirittura pensato che quell’icona ritraesse uno scaffale pieno di libri, invece erano ritratti minuscoli e stilizzati dei santi, ciascuno riconoscibile col suo nome e attributo.

Nel biglietto che avevamo preso c’era spazio per un’altra visita, ma non nella nostra tabella di marcia. Era arrivata l’una prima che ce ne rendessimo conto. Dopo un pranzo non abbondante siamo ripartiti per la nostra vera meta: Trieste.

È una città ricca di storia dove la cucina risente in modo particolare di influenze estere e dalmate e continua ad avvenire un miracolo: la coesistenza di piccoli negozi e botteghe specializzate accanto ai supermercati e alle catene. La nostra guida ha notato il nostro interesse culinario e ci ha accompagnati a fare un giro in centro, pieno di caffè frequentati in passato da letterati del calibro di Joyce – che rimase sempre molto legato alla città – e Saba. C’è ancora la libreria antiquaria dove lavorava, aperta alle visite e alle vendite, con libri che portano le sue note sul prezzo e persino un suo scarabocchio ritraente uno scarafaggio. Una scoperta che mi ha elettrizzato è stato trovare un caffè Sacher. Da maniaca del cioccolato, non potevo che essere felice all’idea di poter riassaggiare la versione originale della ricetta senza dover andare all’estero. Accettano anche prenotazioni telefoniche e spediscono in tutta Italia.

Ero l’unica a cui importasse qualcosa, ma non appena la torta è arrivata a casa è stata sbranata in meno di tre giorni, e non solo grazie alla sottoscritta.

Quel caffè, tuttavia, non è stata l’unica cosa in cui Trieste mi ha ricordato Vienna – da me visitata l’anno scorso. Nell’architettura, nei monumenti e nella storia, sono molte le tracce del lungo periodo di dominazione austriaca; era l’unico sbocco sul mediterraneo dell’impero austro-ungarico.

Abbiamo visitato la cattedrale di san Giusto nella parte alta della città, ed è stato impressionante per più motivi, e non solo per la vista. C’erano anche rovine romane da cui la chiesa stessa è stata costruita e, all’interno, uno scrigno pieno di tesori di epoche diverse. Affreschi di ispirazione bizantina, altri del Due-Trecento, una cappella barocca che spicca in mezzo a tutto il resto, opera di un artista che ispirò direttamente il Tiepolo, un mosaico di tessere luminescenti, opera di un artista contemporaneo … vale la visita. La facciata asimmetrica porta il ricordo indiretto di quando furono “fuse” in un unico edificio due chiese distinte più piccole nei primi anni del Trecento.

Da tutt’altra parte della città ma non meno meritevole di una visita è la chiesa serbo-ortodossa della Santissima Trinità e di San Spiridione. È sempre aperta e ha degli arredi e affreschi bellissimi. Siamo passati anche per le rovine romane, non visitabili direttamente e mille altri scorci. Trieste è una città vivace, pulita e ben tenuta, a differenza di come se la ricordava mio padre, che la visitò anni e anni prima che nascessi.

Durante il pomeriggio abbiamo visitato il castello di Miramare, una delle poche residenze asburgiche in Italia. Fu costruito per volere di Massimiliano d’Asburgo-Lorena come residenza principale sua e della moglie Carlotta del Belgio.

La loro storia è straziante. Lui, cadetto degli Asburgo, aveva un forte interesse per la botanica e le lettere, ma finì coinvolto nelle macchinazioni di Napoleone III che gli offrì per vie indirette la corona di imperatore del Messico. Era molto restio, ma la moglie e altri lo convinsero ad accettarla. Risultato? Lui morì fucilato due anni più tardi e la moglie non fu informata subito. Ella si rivolse invano ai vari potenti d’Europa tentando di far rientrare il marito e sviluppò problemi mentali, morendo poi sessantenne in una gabbia dorata. Lei e il marito furono più felici nel “castelletto” poco distante, una casa tutt’altro che disprezzabile costruita nel colossale giardino che vide la luce per loro volontà, mentre la residenza veniva costruita.

Essi videro finito soltanto il piano terra – tanto che come sala di rappresentanza dovettero usare la camera da letto privata di Carlotta dopo averne spostato i mobili.

La villa passò per varie mani. Massimiliano non fu l’unico proprietario che morì in guerra; la stessa sorte toccò al duca Amedeo di Savoia-Aosta, morto prigioniero a Nairobi per malattia.

Non sono superstiziosa, ma non ci dormirei.

Massimiliano amava il mare e arredò i suoi interni in modo che gli ricordassero la nave: legno e soffitti bassi, finestre piccole, opere d’intarsio...

Saranno i miei gusti moderni, ma se individuassi una posizione fantastica sul mare e ci potessi costruire una villa, vi assicuro che ci metterei bellissime finestre per godere al meglio del panorama. Ma Massimiliano e il resto delle persone che frequentò la villa la pensava diversamente.

I decori e i mobili sono splendidi. C’è una biblioteca notevole, un piccolo museo botanico e ogni stanza ha almeno un dettaglio su cui vale la pena soffermarsi.

Considerando la fine di Massimiliano a soli trentaquattro anni, trovo discutibile che nel piano superiore ci sia una sala del trono piena di quadri che dipingono in modo favorevole e solenne la sua accettazione della corona e del titolo di imperatore del Messico. Le altre stanze, appartenute ai proprietari successivi, non sono meno suntuose e belle.

Le altre cose da menzionare sarebbero infinite, ma queste mi sono rimaste impresse in modo particolare. Merita una visita anche il vasto giardino botanico.

È stato come chiudere un cerchio; l’anno scorso avevo visitato i luoghi legati al fratello di Massimiliano e (alla sua relazione molto più infelice di quanto si creda con)la moglie Sissi. Dicono che Carlotta fosse una donna ambiziosa e si sentisse messa da parte, e per questa ragione spinse il marito ad accettare la carica di imperatore del Messico.

Il giorno dopo ci siamo fermati ad Aquileia, dove abbiamo visitato la basilica.

Non credevo che avrei mai visto un mosaico pavimentale che rimanesse più impresso di quello medievale della cattedrale di Otranto, ma mi sbagliavo. Quello di Aquileia è colossale, più grande di un campo da calcio e con infiniti dettagli: ci sono decorazioni geometriche con significati nascosti, i mesi, racconti biblici, santi, animali, pesci realmente esistiti ed esistenti, mostri … è da restare senza fiato, idem per gli antichissimi affreschi nella cripta sotto l’altare e nelle navate. Sono accessibili anche gli scavi, dove si assiste a una stratificazione straordinaria: tracce di mosaici da domus romane, altri affreschi … c’è da vedere per credere. E anche da indossare una giacca, fa fresco lì sotto.

Abbiamo visitato anche il più piccolo ma notevole Battistero nelle vicinanze e la domus di Tito Macro. Il sito archeologico e la mappa aiutano a capire com’era un tempo e il rapporto con la città e le botteghe vicine.

Solo allora siamo ripartiti verso casa

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