Eccovi la seconda parte del pendolo di gioie e delusioni che è stato il mio febbraio di letture
D-genesis – three years after the dungeon appeared è un manga che narra di una Terra simile alla nostra dove possono comparire ovunque e in qualunque momento dei dungeon come quelli di videogiochi e giochi da tavolo. Il protagonista decide di abbandonare il suo lavoro impiegatizio per diventare un avventuriero registrato ed esplorare questi dungeon pieni di mostri, tesori e segreti.
Sembra una storia d’azione, no?
No. Al contrario, è di una noia abnorme. I personaggi – che definire poco interessanti è un eufemismo molto generoso – passano tutto il tempo a macinare numeri su probabilità e soldi, e il momento di massima azione è quando uno di loro spruzza una soluzione spray su un piccolo slime quasi innocuo.
E i problemi non finiscono qui. Posso capire che il protagonista investa un goblin comparso a bordo strada perché i dungeon possono comparire ovunque, ma state a sentire come questo scoppiettante e complessissimo protagonista diventa l’avventuriero più forte del pianeta con un’abilità iper speciale mai sentita prima.
Si avventura nel dungeon lì vicino per salvare qualcuno? Ci finisce dentro e non ha altra scelta che conquistarlo e sconfiggerne i mostri, se non con la forza, con l’ingegno? Viene fuori che in realtà è un veterano che vi si era avventurato illegalmente, e il suo attuale noiosissimo lavoro è solo una copertura a cui sceglie di/è costretto a rinunciare?
No. Investe e uccide il goblin e questo gli dà accesso a una carta magica speciale che attesta il suo status di avventuriero. Poi, mentre è a piedi, urta un camion pieno di travi d’acciaio giusto giusto sull’orlo dell’abisso del dungeon appena cicciato fuori dal nulla, le travi cadono per centinaia e centinaia di metri, e ammazzano i mostri all’interno del dungeon. L’universo reagisce come se li avesse ammazzati lui, lo inonda di punti esperienza ed ecco che dall’oggi al domani un perfetto nessuno è diventato il più forte del mondo.
Capisco e apprezzo le storie escapiste, ma c’è un limite alla fortuna che si può avere. Non serviva rendere quel protagonista il più forte del mondo se lui quella forza non la userà mai, bastava l’abilità super speciale che ha solo lui. Anzi, sarebbe stato molto più interessante vederlo affrontare i dungeon da solo con un minimo di coraggio in più dopo un licenziamento ingiusto. E ce ne vuole per farmi augurare il male a un protagonista.
Qua e là ci sono momenti di fan service per donne eterosessuali che ho apprezzato, ma da soli non possono reggere né salvare una storia così noiosa. Evitatela.
Gli adattamenti di una storia sono da sempre croce e delizia di chi le ama. Quando va bene possono riscuotere un successo meritato e così straordinario da superare l’opera originale. Quando va male vengono subissati dalle critiche e dall’odio, e quando va così così nascono storie traballanti e mediocri che tradiscono appieno la loro natura derivata e imperfetta. A livid lady’s guide to getting even: how I crushed my homeland with my mighty grimoires rientra in quest’ultimo caso, essendo la versione manga di una light novel non ancora tradotta in inglese.
La protagonista è una nobildonna che viene pubblicamente umiliata e abbandonata dal principe a lei fidanzato. Viene imprigionata, costretta comunque a occuparsi degli affari del regno, e solo dopo aver parlato con la sua fida serva realizza di averne abbastanza e comincia a complottare per distruggere la sua patria così ingrata.
Il problema che salta subito all’occhio è che nessuno dell’intero cast sembra un essere umano; sono solo marionette semoventi con una funzione e un paio di caratteristiche stereotipiche appiccicate sopra. La protagonista, oltre che un genio strategico (o almeno di questo è convinta la trama) è una maga potentissima, il che fa sorgere spontanea la domanda del perché nessuno si sia mai preoccupato di mantenerla in uno stato di felice obbedienza, o quantomeno di non maltrattarla.
La sensazione è che in quel regno manchino del tutto adulti senzienti con un quoziente intellettivo da normodotati. Gli unici che sembrano esserne provvisti sono le guardie e i funzionari minori, sinceramente preoccupati dall’assenza – e poi evidente tradimento – della protagonista, nonché dall’oggettiva stupidità del principe e del re.
Se la protagonista è così furba, poteva trovare un modo per vendicarsi senza condannare a morti lente e/o strazianti le classi più povere, quelle medie e chiunque non fosse connesso alla famiglia reale, ma sceglie di salvare solo le persone a lei fedeli. Mi sembra un modus operandi più da capo mafioso che da eroina ingiustamente tradita, ma l’autore la pensa diversamente.
La storia puzza di adattamento per via della velocità con cui procede, la piattezza tremenda dei personaggi e la mancanza di spunti interessanti. Nulla del mondo risalta particolarmente, e lo stesso vale per i personaggi. È molto probabile che nel romanzo originale le cose fossero più approfondite e intriganti, perciò non escludo di dare una seconda chance a questa storia non appena ne sarà tradotta la versione originale.
Non ne provo un impulso particolarmente forte; il fatto che la protagonista decida di partire con la sua spietata vendetta solo dopo l’esortazione della sua serva, mi fa seriamente dubitare della sua stabilità mentale e motivazione.
A gennaio mi era venuta voglia di una storia alla Cenerentola, così ho comprato e letto il manga di The oblivious saint can’t contain her power: forget my sister! Turns out, I was the real saint all along!, solo per scoprire a febbraio che era l’adattamento di una light novel omonima. Presa dalla curiosità, l’ho letta e ha molti più punti di forza rispetto al manga: i personaggi e i rapporti fra loro sono molto più approfonditi, ci sono molte più informazioni, trama e sfumature. Ad esempio le false voci sulla crudeltà del promesso sposo della protagonista non sono un elemento messo a caso, bensì menzogne messe in giro da una fazione di nobili che non vuole il promesso sposo come futuro sovrano. La protagonista, rispetto al manga, è meno zerbino più reattiva, coraggiosa e intelligente, e ha un piccolo momento di rivincita contro la sorella. Le occasionali descrizioni sono scorrevoli, piene di incanto e poesia e aggiungono molto di più alla storia che non i soliti sfondi pre-renderizzati di castelli europei fanta-medievali.
D’altro canto buona parte del drama è un po’ tirato per i capelli, è chiaro anche ai sassi che lei e il suo promesso già si amano e l’unico ostacolo alla loro felicità pare essere costituito solo dalla loro stolidità. C’è un pizzico di intrigo e una costruzione del mondo abbastanza curata, ma resta una storia alla Cenerentola che non ha alcuna pretesa di essere il nuovo classico fantasy mondiale. Lo consiglio comunque a chi apprezza il genere; continuerò a seguire la serie tramite i romanzi.
Pass the monster meat, milady è un manga. È un capolavoro? No. È particolarmente memorabile? Nemmeno. Ha dei disegni carini, del fanservice per donne non eccessivo e una storia capace di destare il mio interesse? Sì.
La trama, piuttosto leggera, vede la protagonista cucinare in mille modi la carne di mostro che il resto del pianeta (o almeno del regno magico fanta-medievale di turno in cui vive) preferisce evitare. Incontra un duca suo coetaneo che passa gran parte del suo tempo a riempire di mazzate i mostri e scatta la scintilla. Nessuno dei due è particolarmente legato al galateo e tra una cosa e l’altra, lui la chiede in sposa, salvandola da una vita ad ammuffire in monastero – perché le matrigne sono cattive, e i padri ancora in vita di assai scarso aiuto, o almeno così è qua. Lui si interessa alle ricerche di lei, e le promette che potrà proseguirle nei suoi territori.
Cosa nasconde la protagonista nel suo laboratorio, e perché la gente è così avversa all’idea di consumare carne di mostro? In cosa consistevano le ricerche della madre? A queste e altre domande promette di rispondere il volume successivo.
The unimplemented overlords have joined the party! È un mezzo trip mentale. A giudicare dalla quarta di copertina sembrava essere uno di quei casi di “videogiocatore si ritrova a vivere nel suo videogioco di riferimento con dei poteri enormi”, invece è uno di quei death game alla Sword Art Online. Ossia: esce un nuovo videogioco fantasy con tecnologia immersiva e la gente inizia a giocarci, ma ci si ritrova bloccata da un qualche potere superiore e morirci significa morire per davvero. Segue il caos, e i giocatori vengono divisi narrativamente in tre gruppi: i paladini che vogliono tenere in vita più gente possibile/aiutare i più deboli, quelli che hanno fifa e l’unica funzione di farsi salvare o essere codardi, e i bastardi maledetti intenzionati a uccidere più giocatori possibile. Il protagonista rientra nel primo gruppo e in seguito ad alcune circostanze estremamente fortunate, si ritrova a capo del gruppo dei boss finali non ancora implementati.
Avevo comprato questo libro perché attirata dall’idea di esplorare mondi fantasy e le backstory di boss finali abbastanza redenti da non ammazzare gente a caso, invece …
La fortuna sfacciatissima del protagonista è la parte meno credibile. Non solo è il re dei boss finali, ma spingendo comandi a caso crea anche uno slime inarrestabile quasi più pericoloso di loro, città dal nulla, e intere civiltà di mostri senzienti che si rispettano a vicenda e sono super-forti ed avanzano tecnologicamente ancora di più quando dorme. Tutto questo dando comandi a caso su uno schermo trasparente senza avere idea di cosa stesse facendo.
L’unico personaggio un minimo interessante e memorabile è uno dei boss finali, una fantasmina con poteri enormi legati ai non-morti e una backstory straziante. A parte lei, gli altri personaggi oscillano tra il prevedibile e lo stereotipato, e sono tutti piuttosto dimenticabili. Il mondo, tranne per rari spunti che compaiono a casissimo LSD-style, non ha nulla di interessante. Non ho alcuna intenzione di proseguire la serie; non aiuta che sono mai stata una fan delle storie death game.
Oltretutto: la voce della potenza superiore diceva “la terza morte sarà definitiva”. Significa che la gente può morire e risorgere per due volte? E invece muore e basta già alla prima? Boh.
If the villainess and villain met and fell in love è una serie di romanzi rosa di cui ho letto il secondo. Un’altra storia alla Cenerentola con protagonista nobile, un padre bastardo che da bambina le ha bruciato la mano perché lo spirito che l’aveva scelta non aveva un rango abbastanza alto, e un fidanzato str***o. Il secondo volume approfondisce quest’ultimo senza mai giustificarlo né romanticizzarlo, cosa che ho apprezzato e purtroppo non si può dare per scontata. L’aspetto della magia e degli spiriti è abbastanza approfondito, e lo stesso vale per i personaggi; nessuno è particolarmente complesso, ma raggiungono e superano la sufficienza. È una storia semplice e ben fatta senza alcuna ambizione di essere il nuovo classico super-profondo con seicento drammi psicologici per pagina.
Una cosa per cui merita un applauso sono i cliffhanger. Il primo volume, dopo tutti i casini scatenati dalla decisione del fidanzato di mollarla, si conclude con lui che le chiede di tornare insieme, il secondo con il padre che la perdona e le ordina di tornare a vivere con lui e la moglie nella casa principale – anziché il cottage in cui ha vissuto da bambina accudita dalla servitù. Dopo un po’ di fuffa, finire su note come queste è un punto di forza.
Un’ultima nota: né lei, né il nuovo spasimante sono cattivi. Lei aveva una pessima reputazione perché aveva fatto l’impossibile per accontentare il primo fidanzato e i suoi pessimi gusti, lui per via del suo temperamento gelido e gli ottimi voti. Continuerò la serie, non tutti i fantasy devono essere epici o iper complessi.
Ah, e ovviamente, come da cliché, viene fuori che il suo spirito in realtà era rarissimo e iper-fortissimo, ma non si era manifestato perché era troppo forte per lei quando era bambina. Non lo definirei spoiler perché era piuttosto intuibile già dal primo volume.
E voi? C’è un romanzo, a febbraio, che vi ha deluso? Non ditemi che è capitato solo a me.
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