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Il libro più spaventoso dell’anno

Il libro più spaventoso che ho letto quest’anno era confezionato come un rosa, e mi ha segnata. Non in bene.

 

A una prima occhiata I want to escape from princess lessons è una commedia romantica, eppure basta grattare appena e sotto la superficie delle righe e delle illustrazioni patinate, compare una storia quanto mai lontana dall’amore. È la tragedia lenta e straziante della discesa nella follia della protagonista, colpevole di aver attirato l’attenzione della persona sbagliata quando aveva sette anni.

Se avete lo stomaco debole, vi supplico di saltare il resto dell’articolo e scansare come la peste il libro di cui sopra. A chi invece ha il coraggio di accompagnarmi fino in fondo a questa dolorosa ma necessaria sessione di terapia di sfogo, do invece un caloroso benvenuto.

L’azione si apre in modo brioso: la protagonista vede arrivare il promesso sposo, il principe Clarke, in compagnia di un’altra donna. Pare che il loro fidanzamento sia rotto. La sua reazione è di gioia assoluta; aveva aspettato dieci anni della sua vita – ora ne ha diciassette – nella speranza che il suo fidanzamento, da lei non voluto, fosse rotto e lei fosse libera dalle lezioni da principessa del titolo. Va avanti per righe e righe, con furiosa gioia a elencare i tormenti che ha patito: la sua infanzia e giovinezza strappate, il bullismo senza fine, i rimproveri, la solitudine, le umiliazioni, le botte, le critiche a ogni minimo errore e poi via, libera come il vento. La destinazione è decisa dal fratello: un piccolo villaggio rurale nei loro possedimenti.

Per poche pagine la vediamo felice, immersa nella natura che ama tanto e per così tanto tempo le era stata negata. Passeggia tra gli alberi e arriva lungo un fiume. Canticchia. Sceglie un cantuccio e si mette a pescare. Sfiletta il pesce. Non lo sappiamo ancora, ma sarà il suo momento di massima felicità in tutto il romanzo; purtroppo dura poco perché si accorge della presenza di Clarke che, con il sorriso di un dolce e tenero innamorato, le dichiara che sono ancora fidanzati, era stato tutto un equivoco, un piano orchestrato per indurla a vedere lui come una persona e sbarazzarsi della maschera forzata su di lei dalle lezioni. Che bello vederla vivace e felice, ma adesso deve tornare in gabbia al palazzo e fare la brava perché le preparazioni per il loro matrimonio (che lei NON vuole) sono cominciate. La prende di peso, torna nella villa dove stava e dà ordine ai servi di rimpacchettare tutto e ripartire. Notare che questi ultimi al vedere la padrona messa così rimangono interdetti, ma poi si sentono confermare l’ordine dal fratello di lei.

Ma ormai si è fatta sera e decidono di ripartire l’indomani. Nel mezzo della notte, la protagonista compie un coraggioso tentativo di fuga, ma viene bloccata prima dal fratello e poi, dopo essere riuscita a sfuggirgli, così vicina al suo sogno di libertà, viene bloccata dal nulla da Clarke. Lui la blocca, la abbranca, la tocca, la abbraccia, quasi la soffoca e le chiede con un sussurro per niente viscido come lei voglia i gioielli sul suo abito da sposa.

La protagonista, così vicina alla luce in fondo al tunnel, la ragione di esistere che le ha permesso di tirare avanti per dieci anni, essere libera dal fidanzamento (unica condizione perché il fratello non la maritasse a qualcun altro a beneficio delle proprie ambizioni politiche) vede crollare tutto. Ma non è finita qui: il fratello proibisce alla domestica a cui voleva bene di partire con lei, la salutano augurandole la felicità (con quale coraggio o serietà proprio non lo so) e parte nella stessa carrozza del principe. È notte. Lui è più grosso e più forte di lei, occupa più spazio e non ce n’è molto. Quasi si toccano. È sola, faccia a faccia col suo rapitore, causa ultima e prima di tutti i suoi dolori e problemi.

Eppure, lui fa la faccia da cagnolino bastonato, da vittima della situazione: le chiede se lo odia.

Lei si sente il cuore in gola. È sola, nel buio, alla mercé di una delle figure più potenti del regno. Non è in condizione di rifiutarlo, ma anche se lo fosse, il lavaggio del cervello subito per dieci anni, nel pieno dell’età dello sviluppo, la blocca. Il suo corpo ha raggiunto la pubertà, lui è vicino e attraente. Sentimenti diversi si mescolano e risponde di no: ha sempre e solo sofferto durante quei dieci anni, la sua presenza o assenza durante i party del tè rigidissimi le era del tutto indifferente, come le nuvole nel cielo o la ghiaia del guardino. Non sa nemmeno il perché di quel fidanzamento, ricorda solo la sofferenza di quei dieci anni.

Lui sorride, la abbraccia, la tocca. È così felice che non lo odi! Se è solo indifferenza, basterà poco, basterà toccarsi, che lei sappia quanto lui la ami, lo ascolti, gli obbedisca e si ameranno! Saranno felici! La tocca sempre di più. Insiste.

Lei è sempre più a disagio: non ha mai toccato un membro dell’altro sesso al di là del fratello e impareremo più tardi che questo è stato fatto apposta. Dall’età di sette anni, dall’inizio delle lezioni da principessa, lei poteva vedere solo altre donne, l’unico maschio che poteva/doveva vedere in quella luce era il principe, tutto era stato predeterminato e preparato perché lei cadesse ai suoi piedi e gli obbedisse.

Lui è estasiato a vederla in imbarazzo e a disagio, continua a toccarla e quando la bacia sulla guancia e lei prova ulteriori sensazioni confuse nel suo giovane corpo ancora pubescente, ci vorrebbe una lettura estremamente superficiale per vederci qualcosa di carino e casto; non lo è, non in questo contesto. Sono a un passo dallo stupro, ma lui sembra già soddisfatto. Vuole che sia lei a volerlo.

Inoltre, viene qua insinuato per la prima volta che la colpa di tutto ciò sia di lei. Il principe l’ha sempre amata, già da bambina, l’aveva scelta per questo ed era anche venuto a trovarla durante le lezioni e a darle dei regali, ma lei non lo ascoltava. Di certo era distratta, non traumatizzata dalle lezioni, nossignore! Ah, se solo lo avesse ascoltato e fatto sincere conversazioni con lui, si amerebbero già in modo perfetto! Lui era triste perché lei non sorrideva più in modo autentico e così aveva architettato quel simpaticissimo piano perché aiutarla a sorridere di nuovo. E ha funzionato! Ah, quanto la ama!

Dopo queste insistenze verbali su quanto la ami, tira fuori una coperta e si mettono a dormire.

Più tardi lei si mette silenziosamente a piangere, si sente il cuore esplodere dalla tristezza e dalla rabbia a rivedere quei posti che aveva abbandonato con tanta gioia e in cui aveva fatto quella scenata ad alta voce. Lui che la ama così tanto… non fa o dice assolutamente nulla per consolarla. Rimane in silenzio e la fissa.

L’innamorato del millennio. Ma, devo ammettere, un ottimo villain.

Lei viene ricondotta al palazzo, circondata dalle guardie come il peggiore dei criminali. Tiene gli occhi bassi e quando Clarke la invita ad alzarli, vede un piccolo fiume. Saputo che a lei piaceva pescare, il principe ha fatto costruire un fiume all’interno dei giardini del palazzo. Le spiega che le lezioni sono finite e da regina avrà molta più libertà di ora; la sua stessa madre sgattaiola spesso fuori dalle mura per andare a zonzo. I doveri diplomatici e di altra natura che le saranno affidati non saranno molti; potrà avere più libertà ed essere felice, qui in giardino.

Più che un innamorato suona come un padrone che, resosi conto che il gatto era scappato perché l’ambiente non aveva abbastanza stimoli, lo acciuffa e agghinda la casa in modo che non scappi di nuovo, ma tant’è.

Queste nuove condizioni, a una prima occhiata, non sono così male: niente più lezioni, pesca e meno doveri/formalità. Non è la soluzione ottimale (quella sarebbe fuga, processo ai colpevoli e risarcimenti per danni mentali), ma forse sarà una chance per salvare quel poco che le resta di salute mentale.

Lei rifiuta: non può rinunciare all’idea di libertà così tanto a lungo amata e accarezzata e lui la fa condurre in una cella lussuosa. Seguono dei coraggiosi ma infruttuosi tentativi di fuga, e ogni volta finisce confinata in altre stanze, fino a una con un grosso scaffale pieno solo di libri rosa. A differenza delle lezioni, il lavaggio del cervello non è mai terminato e prosegue tramite conversazioni con la serva, che rinforza l’idea che ogni sua singola sofferenza era o colpa di lei, o un capriccio di lei. Il principe la ama, è bello e potente e lei deve ritenersi fortunata, era persino venuto a trovarla durante le lezioni e se lei non l’ha avuto in nota non era perché traumatizzata, ma perché distratta e vana. È sua la colpa se non vedeva la luce alla fine del tunnel, sua la colpa se ha sofferto (di certo esagera, non era così difficile o sgradevole quell’educazione), sua la colpa se ha subito il lavaggio del cervello nel modo sbagliato: doveva sì essere la principessa perfetta nei ritrovi sociali e occasioni ufficiali, ma in privato doveva restare la sé stessa di cui lui si era innamorato al punto giusto da anticipare e ripetere le opinioni e desideri di lui. La sua ritrosia è solo un futile gioco, in realtà lei lo ricambia, deve solo accettarlo, accettare il suo amore, sposarlo ed essere felice. La serva, al pari del fratello e qualunque (poca) forma di vita le sia permesso incontrare, insiste e la martella con questi messaggi a ogni secondo. Deve amare il principe, deve amare il principe, amare il principe, amare il principe, amare il principe, sposarlo e amarlo per il resto della vita. Lei vacilla ma non cede e, spinta dalla disperazione, si mette a cercare passaggi segreti nella stanza. Gli occhi le cadono sulla libreria e si accorge che un libro non è un rosa: sulla costa porta scritto “Diario del principe Clarke”. Lo prende e da dietro la scrivania compare una porta. Ci si avventa, ma è una trappola: dietro la porta segreta c’è Clarke, che la ghermisce. La rimprovera scherzosamente per aver preso il suo diario, prova quanto mai lampante che lei lo ama e prova interesse per lui. La abbranca, la abbraccia, la tocca, la sommerge di paroline dolci e lei non riesce a parlare, prova orrore e vorrebbe fuggire, ma gli ormoni dovuti all’età e il lavaggio del cervello le annodano la lingua. Lui ne approfitta per toccarla ancora di più, anche se lei tenta di far capire che non vuole, insiste, la bacia ancora sulle guance, se la porta nel piccolo letto che è in angolo e continua col trattamento su ogni singolo centimetro di pelle scoperto.

A questo punto la protagonista rivela di essere svenuta e di essersi svegliata accanto a lui che si era messo a dormire.

Se sia avvenuto uno stupro mentre era priva di sensi, non è dato sapere.

Il lavaggio del cervello ha raggiunto un punto tale che lei non sospetta nemmeno di essere svenuta dal terrore, e lo attribuisce al solo imbarazzo. Prova solo imbarazzo, nessuna punta di indignazione.

Lui la riporta nella stanza di prima.

Lei tenta di ristabilire un minimo di privacy e spazio personale e con moltissima fatica sposta il pesante tavolo davanti allo scaffale, in modo che lui non possa aprire la porticina e venire a trovarla. Tira un sospiro di sollievo, ma quasi subito si apre la porta principale dalla stanza. È il principe e le parla in tono minaccioso, un fuoco di odio e dispetto negli occhi: come ha osato spostare il tavolo? Senza alcuno sforzo, il principe lo rimette a posto. Se il principe ha voglia di raggiungerla da dietro la libreria, lei non deve nemmeno anche solo pensare di impedirglielo, lei dev’essere sempre a sua disposizione come e quando lui desidera. La serva l’aveva avvertita che era una pessima idea. Questo episodio è dipinto come il capriccio di una bimbetta e l’intero palazzo la tratta come la simpatica fidanzata eccentrica del principe. I suoi tentativi di fuga sono i capricci di una bimba, lei stessa è un tenero cuccioletto che è tanto tanto divertente tenere e rimettere in gabbia. Abbastanza grande per sposarsi, giammai per essere considerata adulta. Anzi, altro che adulta, l’idea che lei sia una persona, possa pensarla diversamente sul matrimonio o anche solo pensare, prendere decisioni autonome o sentire il bisogno di passare cinque minuti da sola non attraversa l’anticamera del cervello di nessuno in tutto il cast per tutto il romanzo.

Infatti, quando lei scopre una piccola nicchia sotto il pavimento, decide di raggomitolarsi lì per raccogliere le idee. Per qualche minuto accantona perfino l’idea della fuga, vuole solo stare sola. Immediatamente, nel palazzo si scatena il panico: la principessa è fuggita! Dov’è? Bisogna subito trovarla! Si sentono voci, passi, il viavai delle guardie e lei è lì, confusa e incerta. Il principe scopre la nicchia, la tira fuori subito, la abbranca, la tocca … e il resto del palazzo pensa che i due lo abbiano fatto apposta per poter pomiciare.

La prima “libera uscita” che le viene concessa in mesi è una visita alla regina. Scortata da un plotone di guardie che manco un terrorista, così alto e fitto da impedirle persino di vedere dove si va, la portano da lei, che la aspetta davanti a un tavolo coi dolci, tanto miele sulla bocca e ulteriore lavaggio del cervello. Non la lascia nemmeno parlare. È un fiume: come va, ovvio che va benissimo, la considera già sua figlia, la ama già come tale, non vede l’ora di poterla coccolare, toccare, baciare, di certo sarà estasiata all’idea di sposare Clarke, si amano da quando sono bambini, certo che si conoscono e amano da quando sono bambini, lei lo ama, ah quanto lo ama, è così tanto piena d’amore per lui! Sarà felicissima di sposarlo ah che bello essere sposate, sarà tanto tanto tanto felice, deve solo sposare suo figlio, continuare ad amarlo, pensare al matrimonio! Ci sono ancora tante cose da organizzare.

Lei esce, barcollante. Non conserva alcun ricordo di aver incontrato il principe da bambina, né dell’episodio della corona di fiori menzionato dalla regina. Per quanto ne sappiamo sono falsi ricordi, inventati per indebolirne ulteriormente la volontà. Stordita, manipolata, si ferma un attimo nel giardino e tenta invano di intrecciare una corona di fiori. Le mani tremano. Una delle guardie interviene e compie l’impresa al posto suo. È Clarke, che la ama così tanto che l’idea di farla uscire dalla cella sistemazione lussuosa senza di lui gli era insopportabile. Ogni minuto secondo senza di lei è una pena intollerabile, dal gran che è uno stalker la ama. Sospira teneramente, menzionando lo stesso episodio citato dalla regina, prima di ricondurla in cella alla sua sistemazione.

 

Passa del tempo. Arriva il ricevimento per le nozze ormai imminenti e la protagonista è lì a ricevere gli ospiti come e quando vuole l’etichetta. Internamente grida di odio e rabbia, ma l’effetto del lavaggio del cervello delle lezioni è troppo forte: non può opporvisi. Lei stessa ammette con enorme disagio che il suo corpo si muove da solo, le labbra pronunciano parole non volute. È una marionetta, niente di più. Clarke la guarda con gioia e orgoglio: la sua futura moglie sarà proprio un’ottima regina, felice accanto a lui.

A questo punto accade un evento che cambia poco e niente nel romanzo: il rapimento della protagonista. È stata scambiata per la serva di cui il principe tredicenne di un regno vicino si era invaghito. I due rapitori sono molto imbranati e per nulla crudeli; purtroppo per lei, rifiutano il suo suggerimento di lasciarla vivere nel loro regno come una popolana in cambio del suo silenzio. Durante la notte in cui vanno a dormire in una locanda lungo la strada, la protagonista compie un altro tentativo di fuga, ma viene bloccata dal fratello.

Forse è questo il momento più agghiacciante del romanzo. Il fratello le rivela che fin dal principio era stato tutto un suo piano: costringerla a subire le lezioni senza che le fosse mai concessa anche solo mezzora per giocare né una spalla su cui piangere o sfogarsi, l’equivoco, la scelta di quel preciso villaggio, le camere usate come celle, la stanza con lo scaffale pieno di libri rosa e il relativo passaggio segreto, la sorveglianza stretta che bloccava ogni singolo tentativo di fuga … era stato tutto pianificato da lui perché il matrimonio andasse a buon fine. Dato il rango di nobiltà di lei, un matrimonio di alto bordo era inevitabile: è una nobile, deve affrontare la realtà, la libertà dei suoi primi sette anni di vita era solo un’illusione, un sogno, non sarà mai sua. Il suo destino è di sposarsi per il bene delle sue (del fratello) ambizioni di ascesa sociale. Deve accettarlo, deve crescere, smetterla con le bambinate (come l’idea di scappare, o l’assurda pretesa di essere trattata come una persona/adulta) e stimarsi fortunata per il fatto che il principe la ama. Lui è bello, nonché il partito più stabile e potente sulla piazza, ha perfino declinato i suoi (del fratello) suggerimenti di violarla prima delle nozze: DEVE sposarlo. Clarke era tanto preoccupato quando durante le lezioni lei non lo cagava rispondeva sinceramente alle domande e sorrideva in modo falso. Il piano per ridarle il sorriso ha funzionato e questo è quanto. Ora deve tornare indietro, nella stanza dove la aspetta il principe e sposarlo, perché se non lui, toccherà a un altro nobile che la tratterà male. È il suo destino. La famiglia non le verrà in aiuto, è d’accordo con qualunque trattamento e piano deciso dal fratello. Nessuno asseconderà sua scema sete di libertà.

Non è mai stata libera né mai lo sarà. Né di agire e nemmeno di pensare. Quando credeva di avvicinarsi alla libertà con quei tentativi di fuga era tutta un’illusione. Non esiste via di fuga.

Scossa, lei rifiuta e oppone resistenza, ma il fratello non esita a immobilizzarla e trasportarla come un sacco di patate dritta ai piedi del suo aguzzino, che la accoglie con una faccia triste e preoccupata. Aveva avuto tanta paura! La abbranca subito e ricomincia a toccarla nonostante le proteste e l’evidente disagio di lei.

Eppure non smette mai la recita dell’innamorato. Si stacca, si siede e confessa quanto gli è dispiaciuto per quei dieci anni: sa che lei ha sofferto, ma era necessario e non poteva lasciarla andare da quanto la amava e ama tuttora. È un senso di colpa che lo affligge (probabilmente due volte all’anno con l’intensità di una mosca sulla pelle), ma non vuole lasciarla andare, né ora, né prima, né mai, la ama troppo, non ha mai pensato o guardato un’altra donna, la ama così tanto che l’idea di renderle le lezioni più sopportabili – magari negoziando perché avesse almeno una mezzora per giocare – non gli ha mai attraversato l’anticamera del cervello.

Chissà se la odiasse. Come nessuno nell’intero cast chiami questo “amore” anziché “ossessione”, “sete di possesso e controllo” e “le uniche parole che voglio sentirti pronunciare sono quelle che voglio io, idem per le azioni”, è un mistero che non capirò mai.

Questo capolavoro di principe e il fratello di lei sono forse gli esemplari maschili nella fiction che odio di più. Come villain da odiare svolgono un lavoro eccellente, però.

Il principe insiste a dire che la ama, quanto la ama e quanto è stato triste per i sorrisi falsi e il rapimento, la ama, la tocca, la stringe, gode del suo disagio, la tocca, la trascina sul letto e ripete lo stesso trattamento che le aveva riservato dietro lo scaffale. Non è chiaro se avvenga uno stupro: non è descritto, ma non può nemmeno essere escluso dal tavolo delle ipotesi.

Al ritorno le cose precipitano: sono giorni convulsi, di sorveglianza ancora più stretta e lavaggio del cervello sempre più serrato. Tutti le ripetono a raffica a ogni secondo quanto i due si amino e saranno una coppia perfetta e felice, i preparativi delle nozze proseguono a spron battuto, la protagonista è sbatacchiata e rintronata da una parte all’altra, comprese le effusioni del principe a cui non ha modo di sottrarsi, le prove per gli abiti …

E infine si giunge al fatidico momento. La protagonista è terrorizzata, urla a più riprese “NO! NOOO!”. Non vuole, resiste, ma nessuno le dà retta. La vestono a forza da sposa, la spingono e una volta davanti al pubblico al terrore si aggiunge la confusione. Ormai ha le facoltà mentali di un animale impanicato in mezzo al traffico. Il corpo si muove sotto l’effetto del lavaggio del cervello eseguito nei dieci anni, in modo indipendente da volontà e stato mentale, perfetto e aggraziato. Tutti applaudono felici e sembra di assistere alla scena finale di Evangelion. Piovono confetti, urla, confusione, applausi, lacrime di gioia, lei è spaventata e confusa e si appoggia all’uomo che la conduce all’altare, lui, sì, radioso. È il suo rapitore, il suo aguzzino, la causa di tutti i suoi dolori, che al vederla in quello stato si rallegra: quale prova più lampante che lei è una tenera ritrosa che ricambia il suo amore e ha tanto bisogno di lui? Lei non è nemmeno in grado di seguire la cerimonia e si rende conto a malapena di quando il suo carnefice la bacia avidamente sulle labbra al termine del rito.

Fine? No: la sua discesa nella follia può solo continuare.

Dopo questi eventi ci sono scenette staccate e ininfluenti (spesso di pessimo gusto) su personaggi di contorno. Una di queste riporta una conversazione tra una serva e la protagonista; quest’ultima rivela che ormai non le dispiace pescare nel fiume approntato dal principe e sonnecchiare sugli alberi del giardino del palazzo, ma non può rinunciare alla libertà e si mette a scavare a mani nude alla ricerca di un passaggio segreto che, ne è certissima, esiste e la porterà lontana. L’intero palazzo, anzi, il regno sa dei suoi tentativi di fuga mai riusciti né interrotti nemmeno dopo il matrimonio, e li considera un simpatico segno di eccentricità. È sempre impeccabile nelle cerimonie pubbliche e diplomatiche, nessuno potrebbe desiderare una regina migliore, sempre accanto al suo sposo e a lui sottomessa. È la barzelletta del regno. Fa sorridere, ma è utile, perciò la guardano con sufficienza e affetto al pari della serva, convinta che i due si amino tantissimo e quelle stupidaggini sulla libertà siano solo fantasie e lei non desideri il divorzio.

Come se le fossero rimaste le facoltà mentali necessarie per concepirlo: la protagonista ormai è una folle in bilico tra il rifiuto e l’amore per la gabbia a cui è condannata, plagiata dal lavaggio del cervello, ridotta a cercare vie di fuga immaginarie, sempre strettamente sorvegliata, mai creduta né rispettata da nessuno.

Il carnefice sostiene che il matrimonio tra loro due non si è consumato; egli aspetta che sia lei a richiedere la sua presenza in stanza e consumare. Che fretta ha, del resto? Una volta che il lavaggio del cervello avrà spazzato via le ultime, scarse briciole di resistenza, sarà completamente sua per sempre e lui potrà continuare a cullarsi nella sua immagine di innamorato modello, re illuminato nonché esempio più lampante che il sistema di educazione per le nobili consorti sia cosa naturale, buona e giusta.

Non è dato di sapere se egli dica la verità, o se questa sia solo l’ultima di una lunga serie di bugie e manovre di un maniaco del controllo.

In una scena successiva, lui la lascia fuggire in città solo per raggiungerla con un drappello di guardie in borghese e trasformare quella fuga in un appuntamento romantico, il primo che abbiano mai avuto. Sembra più un cane al guinzaglio, un prigioniero a cui il carceriere concede un’uscita non meno sorvegliata del carcere. Lei stessa, suo malgrado, inizia a vedere quelle fughe come bambinate da cui non può esimersi per orgoglio. Presto, il lavaggio del cervello terminerà di divorarla e di lei resterà solo un guscio vuoto al servizio del principe.

Ma nemmeno questa è la fine. Il finale giunge dopo ed è persino più crudele.

Veniamo riportati all’inizio di tutto questo, quando la protagonista è una bambina di sette anni che vive in modo felice e spensierato sotto lo sguardo protettivo del padre. Siccome l’educazione dei nobili non inizia prima dei dieci anni, l’uomo non ha visto nulla di sbagliato nel lasciare alla giovanissima figlia un po’ di libertà, considerando anche il suo carattere spigliato. Sa quanto le piace correre, arrampicarsi sugli alberi per dormirci, pescare e consimili attività dell’aperto considerate improprie per un nobile, soprattutto se di sesso femminile. Perciò, quando va in giro per fare il proprio lavoro, la lascia giocare nel giardino del potente di turno e non è mai successo niente di brutto … finché un giorno il principe non sente qualcuno russare su un albero, ha la brillantissima idea di scuoterlo e la protagonista gli finisce addosso. Rimane colpito dallo spirito libero e vivace della sua quasi coetanea, dal suo sorriso e la sua felicità giunge al colmo quando lei dice di amarlo. Senza alcun dubbio un progetto per il futuro accuratamente studiato a cui attenersi tutta la vita, non una frase detta per gioco da una bimba che non sa nulla di come va il mondo.

Il principe, invaghito, contatta i genitori e fa chiedere la sua mano in matrimonio; dato il suo rango, c’è il rischio che qualcuno la prenoti prima di lui per sposarla. Il fratello maggiore è estasiato dalla notizia, sua madre è un tripudio di sorrisi. Solo il padre piange: è l’unico a sapere cosa questo comporti. Non vedrà mai più la figlia, che sarà consegnata a rigidissimi istitutori, ma non ha altra scelta che obbedire agli ordini del re e condurla al palazzo.

Lei è felicissima di rivedere quello che ai suoi occhi è un adorabile compagno di giochi. Sotto lo sguardo degli adulti, tornano a giocare insieme in giardino e lei si mette a piangere quanto tenta invano di intrecciare una corona di fiori. Per consolarla, è il principe a farne una e mettergliela in testa. Lei ride e lo bacia sulla guancia, ripetendo di amarlo e menzionando che queste parole e mosse le ha imparate da alcuni romanzi rosa. Il padre riprende a piangere, ma viene ridicolizzato da tutti e spedito nei suoi territori, lontano dalla capitale, mentre il comando della famiglia e degli affari più importanti è affidato interamente al figlio maggiore, che resta nei paraggi.

Come osa nutrire un simile attaccamento e istinto di protezione per una bambina di sette anni? È una nobile, sanno tutti che i nobili a quell’età sono già adulti pienamente maturi e consenzienti e un “ti amo” detto in quelle condizioni equivale a una proposta di nozze fra due trentenni che hanno considerato tutto con saggezza.

Altra nota, il padre non è più menzionato in tutto il romanzo. Non sarei sorpresa se il figlio l’avesse ucciso per avere il completo controllo di tutto con l’aiuto della madre che è lecito presumere che non sia meno arrampicatrice sociale di lui; difatti non ha mai battuto ciglio all’idea di come venisse trattata la figlia, era solo felice per sé stessa e il maggior prestigio che sarebbe toccato alla famiglia. L’unico a essersi mai preoccupato per la felicità e lo stato mentale della protagonista è il padre, che esce qui di scena.

Come la tratta il fratello? Quando lei, in lacrime, corre nella residenza nobiliare della capitale, è esterrefatta nel non trovare il padre. È arrabbiata, terrorizzata, il modo in cui la trattano gli istitutori è inumano. Urlano, la rimproverano in modo molto aspro e non esitano a picchiarla e … e c’è dell’altro che è ancora troppo piccola per poter esprimere verbalmente. Il lavaggio del cervello; la mancanza di controllo sul suo stesso corpo e lingua è un futuro che sta già iniziando a disegnarsi in lei. E lei non vuole. Il fratello, invece di consolarla, la rimprovera aspramente e dà la colpa al loro padre per non avere iniziato a educarla prima. DEVE obbedire, questo è quanto, avere la minima cosa da ridire sulle lezioni è soltanto un capriccio infantile indegno della sua attenzione. Lei si arrabbia e gli dà un calcio. Lui chiama la serva e denuncia quell’intollerabile atto di ribellione. La serva prende le parti del capo di famiglia e non esita a picchiarla a sangue. Notare che è la stessa serva che la conosce sin da piccola.

A questo punto la protagonista si sveglia: quel flashback era solo un sogno. Si sveglia con accanto il principe – che NON aveva invitato a letto – perché lui era preoccupato ché lei si agitava nel sonno. Lo rispedisce nella sua stanza.

Quanto c’è di vero? È la verità dei fatti o sono i falsi ricordi impiantati dalla regina col potere della suggestione?

L’ultima scena è un altro flashback che ci riporta all’inizio delle lezioni. La protagonista, una bambina di sette anni che prima di allora aveva conosciuto solo giochi all’aria aperta, sorrisi e coccole, viene riportata nel palazzo reale. La conducono in un’ala sconosciuta e la lasciano lì, sola, senza spiegazioni. Emerge un’istitutrice che le chiede di presentarsi. Lei risponde in tono tremante e il violento rimprovero ad alta voce perché ha balbettato la spaventa. Scoppia a piangere, ma la tutrice è inflessibile e i rimproveri continuano. Non è difficile immaginare che inizi a picchiarla offr-screen. Il piazzamento di questa scena alla fine del romanzo suggerisce che da allora in poi la vita della protagonista non sia diventata altro che un ciclo infinito di abusi verbali, fisici e psicologici. Prima gli insegnanti, poi il promesso sposo con la complicità del fratello, infine lo sposo, che si crede protagonista della storia d’amore del secolo. Ora come allora è sola. Nessuno prenderà mai le sue parti. L’unica direzione in cui le è concesso di andare è verso il basso, verso la follia, verso una sottomissione al principe sempre più totale.

L’ultima pagina è il commiato dall’autore, che esprime con soddisfazione di aver scritto un rosa in cui lei fugge e lui insegue del tutto privo di elementi dark.

O l’autore non toglie fino all’ultimo la maschera di scrittore di thriller che finge di scrivere altro, o è davvero convinto di aver steso un rosa con quelle caratteristiche e trovo questa seconda opzione molto più disturbante.

Questo libro mi ha segnata perché è un mio incubo personale che un uomo mi costringa a fare cose che non voglio. Già quando ero bambina e mi vestivano, io mi dibattevo perché non mi piaceva la sensazione che invadessero il mio spazio e privacy. Fosse per me sarei girata nuda o in pigiama per tutto il giorno, e col senno di poi sono contenta che i miei abbiano insistito per vestirmi in modo accettabile. Si cresce e si cambia, ma certe tendenze e paure profonde restano.

I rosa in cui la protagonista, tramite situazioni esterne, si rende conto di provare sentimenti per qualcuno e li confessa, mi stanno bene. Se lui si rende conto di essersi comportato in modo ingiusto e si corregge, ancora meglio. Se entrambi maturano insieme, sono venti stelle su dieci e i miei soldi che ci piovono sopra. Ci sono anche libri in cui due o più partner consenzienti provano robe in camera da letto, ma il genere erotico non fa per me.

Ma I want to escape from princess lessons non rientra in nessuna di queste categorie. Mai in nessuna pagina si è visto che la protagonista ricambi i sentimenti di ossessione del principe. Al massimo prova imbarazzo e disagio quando lui la tocca nonostante le richieste di smetterla, ma quel tipo di reazione fisica è del tutto indipendente dalla volontà e non rispecchia proprio niente. Non è amore, non lo è mai stato. Il principe è uno stalker, un maniaco ossessivo e del controllo, nonché un rapitore. Non è un innamorato. Chi ti ama cerca il tuo bene più del suo. Quando lui la vede felice in riva al fiume è felice di vederla felice, ma il sospetto che sia più felice così e sia meglio per lei lasciarla libera non gli sfiora l’anticamera del cervello nemmeno per errore. O se sì, conclude che il suo benessere è più importante della salute e felicità di lei. “So che ti ha fatto male, ma era necessario e non volevo né potevo lasciarti andare” è il massimo di ammissione di colpevolezza a cui arriva. Non parla mai davvero con lei, non la tratta mai con un essere umano dotato di opinioni, sentimenti, pensieri e desideri. A parole vuole aspettare il suo consenso, però sottoporla ad abusi psicologici per anni senza mai alzare un dito, rapirla, sottoporla a sorveglianza strettissima e toccarla quando non vuole vanno benissimo. Insiste che vuole parlarci, sono dei pari e la rispetta, ma la realtà è ben diversa. La tratta come un uccellino in gabbia, un distributore di emozioni che lo diverte e lo rilassa. Non come un essere umano.

Scusate per il lungo retelling, ma questo libro mi ha segnata. Lo considero la lettura più spaventosa dell’anno, molto più delle storie di fantasmi che ho letto in primavera. Ci sono paure più buie e radicate di quella degli spettri e questo libro le ha risvegliate con la delicatezza di uno schiacciasassi chiodato. Ho continuato a leggerlo pensando “è un rosa, arriverà la parte in cui lui si rende conto di aver agito male e trova un modo per rimediare e far pace con lei”, ma quel momento non è mai arrivato.

È il senso di orrore che provi quando credi che un personaggio si possa salvare e invece ti muore orrendamente davanti agli occhi.

Ci vuole qualche giorno e un numero di sfoghi variabile per riprendersi.

Fatto sta che il mio Halloween librario si è svolto così, senza alcuna intenzione da parte mia. Grazie per avermi accompagnata fin qui a esorcizzare quest’incubo.

Ora sono curiosa: qual è il libro più spaventoso che avete letto?

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