I film che ho visto al cinema sono due: quello dedicato a Dungeons and dragons e a Super Mario e vi dirò cosa ne penso
Pur amando alcune pellicole e avendo sostenuto un esame di storia del cinema, non ne sono un’amante particolarmente sfegatata. Se a ciò si aggiungono il lockdown e che per lungo tempo al cinema non fosse uscito nulla che mi andasse di vedere, capite perché rientrarvi dopo anni di assenza mi abbia fatto un certo effetto.
Dove vivo, il cinema Emiro era stato un piccolo caposaldo dell’intrattenimento: i negozi più diversi hanno aperto e chiuso accanto a lui e non era infrequente vederlo affollatissimo nei fine settimana e altre occasioni.
Il viavai sembrò essere ripreso in pieno quando mi avvicinai alla cassa per i biglietti: una folla grandissima aveva riempito l’ingresso e i negozi. Il gruppo con cui mi ritrovo per giocare a giochi da tavolo era già arrivato e dopo poco ci siamo avviati per vedere la pellicola dedicata a Dungeons and dragons.
Premetto che pur avendo una conoscenza base dei giochi di ruolo, videoludici e non, non ho mai preso parte a una campagna di Dungeons and dragons, perciò non avevo idee troppo precise su cosa aspettarmi.
Il film, tuttavia, ha fatto un ottimo lavoro nel rendere le vicende comprensibili e appassionanti anche a chi, come me, non era un fan di vecchia data. I riferimenti a luoghi, nomi ed eventi erano strutturati in modo tale da essere subito riconoscibili ai fan ma da sembrare “neutri” e sensati anche a chi li sentisse per la prima volta. Quando per esempio hanno menzionato il Sottosuolo, ho subito pensato a un luogo sotterraneo pieno di trappole adatte a custodire l’oggetto magico che serviva ai protagonisti e così è stato. Per un fan, quella parola aveva un significato più vasto, magari di ore e ore passato a esplorarlo (o maledirlo) in intere sessioni di gioco, oppure di backstory nemmeno menzionate dalla pellicola, ma la pellicola funzionava anche per loro.
Ero arrivata ad affezionarmi ai personaggi e alla loro impresa di recuperare la figlia del protagonista da un traditore che le aveva mentito (nonché, arraffare un po’ di oro e porre termine alle trame dei malvagi maghi rossi), al punto da versare qualche lacrima alla fine. Le scene d’azione erano coinvolgenti e ben coreografate, i modi dei protagonisti per uscire da situazioni difficili sensati e ben cogitati, eppure … eppure dopo due giorni ho dimenticato tutti i loro nomi (non di rado mi succede anche con le persone in carne e ossa).
Il film è stato molto piacevole, ma mi ha fatto l’effetto di un ristorante dove ti portano, ne apprezzi il cibo, ringrazi, ma non ci torni perché ne conosci di migliori.
I personaggi funzionavano, era difficile non prenderli sul serio e non affezionarsi al protagonista, ma non è scattata nessuna scintilla particolare, forse perché non sono una fan di dungeons and dragons.
Indovinate invece di cosa sono una fan? Esatto, Super Mario. Il mio primissimo videogioco era di quel franchise, ne ho giocati altri, troppi, ho letto una miriade di curiosità in proposito, e quando ho saputo che Illumination Entertainment, a cui avevo dedicato la mia tesi di dottorato assieme alla Pixar e alla Blue Sky prendendo cento e lode, ci avrebbe fatto sopra un film, dovevo andare a vederlo.
Non poteva essere peggio del film in live-action con attori in carne e ossa della fine del secolo scorso, ma anche in quel caso, dovevo vederlo.
L’ho visto e per tutta la sua durata sono stata una bambina felicissima.
Mario, Luigi, la principessa Peach, il regno dei funghi, Bowser, il regno di kong … li conoscevo già, erano portati alla vita in un modo nuovo e pieno di colori, un mondo visitato in una maniera diversa – e che è rimasto uno dei luoghi immaginari dove vorrei andare a vivere.
Spoiler: alla fine dell’avventura non è raro che gli eroi decidano di tornare a casa, ma che Mario e Luigi abbiano deciso altrimenti non è affatto strano. Potendo, li imiterei.
Il film è una origin story che spiega come i due fratelli siano passati da Brooklyn al magico regno dei funghi: tramite strani tubi verdi nelle fognature che li risucchiano in strani spazi colorati. Nel trambusto finiscono separati, Luigi viene imprigionato da Bowser e Mario deve adattarsi in fretta alla particolarità di quel mondo per salvarlo e andare oltre le proprie debolezze.
Scusate se è poco, per qualcuno con problemi di autostima, incertezze su sé stesso e striscianti sensi di colpa per aver messo indirettamente in pericolo il fratello. Le volte in cui volevo abbracciarlo sono troppe, per contarle.
Secondo alcuni il film non funziona perché i personaggi sono piatti e la storia non è particolarmente intricata, ma per un film dedicato a un franchise in cui storie complesse e personaggi intricati non sono mai stati il punto, non ci vedo nulla di strano o degno di biasimo.
(So che esiste la serie Mario & Luigi e altri giochi di ruolo con Mario e storie più complesse, ma il film non era dedicato a nessuno di questi).
È dedicato ai fan di Super Mario, niente di più e niente di meno e il numero di riferimenti che riesce a inserire senza che ciò lo renda illeggibile a tutti gli altri, è qualcosa di straordinario.
Normalmente non vado matta per le storie con così tanti riferimenti, ma per un film dedicato a un franchise pluridecennale è molto calzante e non va a discapito della qualità.
Ci sto forse danzando intorno, ma trasmettere quella sensazione di gioia intensa e continua che ho provato durante il film non è semplice. È stato come assistere a un lungo cartone animato, al vedere portati alla vita luoghi immaginari che prima avevo visto ritratti solo in modo breve o contradditorio. Non biasimo affatto chi torna a vederlo per rivederli e riafferrare quella sensazione. Probabilmente il fatto che molti film prima amati dai fan, come Star Wars o quelli della Marvel, abbiano perso in qualità, aiuta non poco a far risaltare quello di Super Mario, pieno di un fan service innocente e ben realizzato, che va incontro ai fan senza colpevolizzarli o martellarli di prediche.
Secondo molti la principessa Peach è diventata una girl boss fin troppo forte e perfetta per qualcuno che nei giochi si fa salvare così spesso, ma non sono del tutto d’accordo. Peach non è soltanto una principessa in pericolo, è anche un buon capo, saggio e attento (nonché ricco), si intende di legge (quando fa da avvocatessa a Mario in Super Mario Sunshine), non permette alla paura (di venire rapita o altro) di dominare o rovinare la sua vita, guida auto e moto in corse folli e pericolose e non esita a partire all’avventura (in Super Princess Peach è lei ad andare a salvare Mario e gli altri, ma succede anche in molti altri platform). Scusate se è poco.
Sarebbe stato ben più triste se nel film fosse stata ritratta solo in modo passivo. Se poi, come spiega lei stessa, in quel mondo è cresciuta, è normale che abbia molto più allenamento di Mario a saltare, evitare ostacoli e usare i power-up. Quando Mario è giù, lei gli fa notare che lo ammira per la sua determinazione; è come se lo dicesse anche ai tanti, troppi giocatori a cui è capitato di perdere una vita in un salto difficile o nel combattere un boss.
Alla fine, poi, nonostante la sua forza, Peach si ritrova comunque in difficoltà, accerchiata da nemici e deve fare conto su Mario e Luigi.
Ho apprezzato questo tocco finale, perché ho l’impressione che i personaggi femminili troppo forti e perfetti che non hanno mai bisogno di nessuno mandino un messaggio sbagliato: che se hai bisogno di aiuto sei una stupida. Non è vero: ci sono situazioni in cui chiedere aiuto può salvare delle vite, compresa la tua ed è un atto di grande saggezza e coraggio chiederlo.
Queste sono le mie impressioni sul film di Supermario, ma sono curiosa: siete andati a vederlo? Vi è piaciuto? Fatemelo sapere nei commenti!
Trovai una farmacia e andai a comprarmi qualcosa contro il mal di testa. Dopodiché pensavo di prendere un panino e mangiarlo per cena, ma non trovai nulla che mi interessasse presso i bar e rientrai nella mia stanza sentendomi distrutta. Per una mezzora rimasi stesa sul letto, immobile. Ma come fare per la cena? Ero a pezzi e i ristoranti vicini non mi ispiravano. L’ideale sarebbe stato poter ordinare qualcosa da mangiare in camera.
Ci sono momenti di grazia in cui vorresti abbracciare l’universo ed elevare un canto di lode e grazie alle persone che hai attorno e quando arrivò la pizza ancora fumante, provai esattamente uno di quei momenti e benedii la donna – corriere a cui pagai alcuni degli euro meglio spesi della mia vita.
Fu anche la prima volta che provai una pizza senza mozzarella, “solo” con pomodoro, prosciutto cotto e wurstel. La divorai con un appetito che non credevo di avere e dopo aver preso il farmaco, il mal di testa iniziò finalmente a scemare.
L’ultimo problema della giornata fu trovare un modo per fermare la doccia gocciolante. Ne avvolsi il telefono in un asciugamano, lo posai a terra e passai la sera e notte nel silenzio ovattato di cui avevo bisogno.
(A parte un ubriaco che si mise a urlare in strada intorno all’una di notte, ma non si può volere tutto).
Il mattino dopo ebbi modo di fare tutto con calma, poiché per raggiungere la stazione mi bastava attraversare la strada.
Ne approfittai per passare alla Feltrinelli, dove ho preso il quaderno che vi ho mostrato nelle story, ma mi mancava ancora qualcosa: la colazione. Non mancava molto tempo alla partenza del treno, ma fortuna volle che trovai proprio vicino al binario un negozietto di cioccolato Venchi.
Fu come tornare bambina nella sezione giocattoli.
Alla fine optai per due bottigliette d’acqua e le tavolette che vi ho mostrato nelle story: una al 60% fondente alla mente e una al gusto di bacio di dama.
Salita sul treno e staccato un paio di file di quadrati dalla prima, mi sentii subito meglio. La partenza fu in orario, l’aria era limpida e le alpi in lontananza coperte di neve.
Torino, Holden, tornerò.
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