Camena è una serie che sto scrivendo di cui è uscito da poco il quarto volume. Vi parlerò di cosa mi ha spinta a scriverla e di quanto sia diverso occuparsi di una serie invece che di un unico libro.
Qualunque spunto può ispirare un romanzo: un luogo particolare, un ricordo, un sogno, ma nel mio caso – e in quello della serie in questione – si è trattato di una reazione. Adoro i fantasy, ma avevo voglia di leggere uno che sfuggisse alle limitazioni di genere che è facile trovare in libreria, dove il genere è rigidamente suddiviso a seconda che i singoli titoli siano per bambini, per giovani adulti, o siano lunghe, complessissime saghe guerresche.
Un tipo che leggo avidamente sono romanzi giapponesi chiamati light novel che hanno un’amplissima varietà di generi interni. Tra di essi vi sono opere più e meno riuscite e una trama ricorrente vede il/la protagonista catapultato/a in un altro mondo (spesso un medioevo fantasy mai esistito) e incaricato/a di compiere grandi imprese o sopravvivere contro mille pericoli.
Mi sono chiesta: primo, perché l’ambientazione dovrebbe sempre essere quella? (Voglio dire, adoro il medioevo, è un’epoca affascinante, ma dopo averlo vista un triliardo e mezzo di volte con salse identiche sono a posto, grazie). Secondo, e se fossero gli abitanti di un altro mondo a irrompere nella nostra realtà anziché il contrario? Quale altro mondo poteva essere il più adatto a scontrarsi con la realtà in un modo originale ma al tempo stesso familiare e pienamente comprensibile dal lettore?
Fu il mio amore per i cartoni animati a rispondere e così iniziai a buttare giù una storia in cui i cattivi di un cartone animato irrompono nella nostra realtà, scontrandosi con una tecnologia per loro inferiore, un sistema di pensiero piuttosto diverso e nativi di cui non comprendono la lingua meno che nel caso dell’omonima protagonista, fan sfegatata del vecchio cartone da cui provengono.
Molte cose sono cambiate da quella primissima stesura di ormai dieci anni fa: ho modificato il luogo in cui è ambientata la storia – non più la nostra Terra, ma una alternativa con differenze importanti, un luogo interessante da esplorare e scoprire assieme ai personaggi – e anche alcune dinamiche tra i personaggi.
La storia ha mantenuto la sua natura ibrida: è un fantasy umoristico con misteri e momenti di seria riflessione, incastonato di citazioni e riferimenti che i miei coetanei, ma anche gente di altre età può afferrare o quanto meno godersi la trama.
Pur essendo soddisfatta di come sa venendo, non avevo messo in conto quanto potesse diventare drenante da un punto di vista creativo restare concentrati così a lungo su una sola opera. Vi sono autori che scrivono più libri contemporaneamente, ma finora questo non era stato il mio caso. Ci sono momenti di stanchezza, giorni in cui non ho forza, concentrazione o tempo per scrivere, ma mi è capitato anche da prima di scrivere una serie. L’importante è che non perda la determinazione a finire la storia e il gustarmi ogni momento in cui una scena viene alla luce o la risistemo per la millesima volta.
Scrivere è bellissimo, ma i momenti in cui l’ispirazione fluisce, purtroppo, non sono la regola.
Occuparsi di una serie significa anche doversi ricordare una miriade di avvenimenti e pianificare con attenzione – o almeno, molto di più che non con un singolo romanzo. Per questo occorre procurarsi un buon editor che aiuti a tenere insieme i mille fili degli eventi per evitare contraddizioni.
Sto imparando ora ciò che mi hanno detto da più giovane: di provare di tutto, sperimentare e non temere errori, perché è solo grazie a essi che ci si corregge – suona duro, ma in effetti se uno non si rende conto di sbagliare, come fa a correggersi e migliorarsi?
E voi? Vi piacciono i fantasy umoristici o preferite quelli più seri? Scrivetelo nei commenti e buon Avvento!
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