Il circo della notte è un libro amatissimo dalla critica (ma non da me) che mi ha ispirato riflessioni che voglio condividere con voi.
Mi capita raramente di non finire un libro, ma è una regola a cui faccio eccezione se si tratta di un titolo che non riesce a prendermi nelle prime cinquanta pagine. Può capitare che le prime suscitino un’impressione negativa o addirittura sbagliata, dopotutto è solo l’inizio di una storia e questa deve avere tempo e modo di prendere il volo, diventare più bella e intrigante… sfortunatamente alcune restano in quella nebbia indefinita e noiosa da cui non riescono uscire o si schiantano miseramente.
Il libro in questione mi è piaciuto per la prosa, l’idea che la magia esiste e… poco altro, in realtà. Sono arrivata a pagina settantatré senza che uno solo dei personaggi fosse stato dotato di un’anima, di motivazioni chiare e approfondite, di qualcosa che mi inducesse a pensare “uao, voglio proprio vedere cosa succederà e come andrà a finire”. Erano macchiette di cui si sapeva poco o nulla, che dicevano “toh, voglio questa cosa” e si avviavano come macchinine ricaricate a dovere.
Ci sono storie che funzionano benissimo anche con personaggi caricaturizzati, ma non vale per tutte, o almeno a mio modesto parere, non per un tomo più lungo di trecento pagine salutato dall’universo come un sommo capolavoro di romanticismo e profondità.
Può darsi allora che fosse un problema di mie aspettative sbagliate o semplicemente di gusti: in molti amano le storie ambigue tinte di mistero, dove le motivazioni dei personaggi vanno intuite e, come altri elementi, non sono spiegate direttamente. Poi ci sono quelli come me che preferiscono vederci (più) chiaro; non servono interminabili monologhi interiori per caratterizzare un personaggio, basta poco, qualche parola, un flashback, qualcosa che ci faccia capire perché quel personaggio agisce in un determinato modo. Magari ha una storia difficile, è ricattato, teme per la sua vita… ma almeno fatemi capire perché non dovrei mandare a quel paese qualcuno che agisce in modo freddo, arrogante, crudele e distaccato tutto il tempo. Non sopporto quando un personaggio sparge lacrime, sangue e infiniti problemi per tutti, ma poi all’ultimo secondo si scopre che aveva un motivo (non sempre) buono per farlo e secondo l’autore questo laverebbe magicamente via tutti i suoi sbagli giustificandoli appieno e anzi mettendo in cattiva luce chi si era sempre adoperato per il bene e non lo sopportava più.
Sono l’unica a detestare quando succede?
Sono del parere che l’intensità della caratterizzazione dei personaggi debba variare a seconda delle esigenze della storia: se è una satira le caricature sono benvenute, se l’ambientazione è realistica magari un po’ meno. Sì, ho problemi anche con le storie che si spacciano per realtà e sono popolate solo di ridicole macchiette-manichini usate dall’autore per imporre la sua visione. Il massimo grado di realismo si raggiunge quando i personaggi riflettono la varietà di atteggiamenti e idee esistente nella realtà: nel mondo reale esiste chi è cocciuto e si intestardisce a credere in bugie o opinioni discutibili, ma anche chi è convinto dell’estremismo opposto, chi fa la voce grossa ma non nuocerebbe a una mosca, chi cambia idea, chi la mantiene ammorbidendo alcuni aspetti… adoro quando succede e cerco di replicare questa varietà quando scrivo.
E voi? Se avete letto il libro, vi è piaciuto o condividete le mie perplessità? Vi piacciono i personaggi complessi o li preferite semplici ma non banali? Fatemelo sapere nei commenti e continuate a seguirmi!
Questo articolo ha 0 commenti