Il giallo, ossia storia di come mi sono avvicinata a questo genere letterario multiforme e abbia imparato ad amarlo.
Presi in mano il mio primo giallo in una congiuntura particolare: ero nel difficile periodo in cui, pur continuando ad amare i libri per ragazzi, avevo fame e sete di storie più complesse e al contempo non provavo alcuna attrazione per i romance né altro che fosse stato scritto con il mio target di età in mente. Poi, Daniela Paini, la mia dura ma giusta insegnante di italiano del ginnasio, ci assegnò un libro da leggere da selezionare in una lunga lista. Detestavo quel genere di compito poiché la lettura era (e resta) per me un piacere da non rovinare con l’obbligo, ma in quella lista era presente un volume che avrebbe cambiato le carte in tavola: La poltrona numero 30 di Ellery Queen.
Era un giallo che mi introdusse all’eccentrico protagonista, a suo padre Richard, ispettore di polizia e a una galleria di altri personaggi che si muovevano in un mondo che già allora mi sembrò passato. C’era una sorta di ingenuità sottesa nella narrazione, ma c’era anche un bel mistero da risolvere che alla fine veniva svelato in modo soddisfacente. Il mio primo contatto con il giallo fu molto positivo e presto mi adoperai per mettere mano agli altri libri dello scrittore; anzi, degli scrittori perché dietro allo pseudonimo di Ellery Queen si celavano Frederick Dannay e Manfred Bennington Lee. Rintracciare i loro libri non si rivelò impresa semplice (ne scrissero tantissimi, ma non tutti vennero tradotti in italiano o digitalizzati) e così mi rivolsi ad altri autori più e meno classici del giallo: Artur Conan Doyle, Agatha Christie, Ellis Peters, Lilian Jackson, la signora in giallo…
Ne lessi tantissimi e ciascuno mi ha lasciato qualcosa. Poirot mi tenne compagnia nell’estate in cui mi ruppi un piede, Lilian mi intrattenne per giorni con le avventure del giornalista-detective Qwilleran alle prese con due gatti molto speciali, Ellis Peters con luoghi esotici e trame coinvolgenti (da padre Cadfael a Dominc Felse), mentre di Sherlock Holmes apprezzai l’estro e l’aspetto rassicurante delle storie. I gialli che tuttora preferisco sono quelli in cui il detective scopre il colpevole e lo consegna alla giustizia (o lo risparmia se meritevole) e la rappresentazione del male non è calcata in modo morboso. Questo mio gusto personale mi tiene tuttora alla larga dai thriller e dal noir e deriva dal mio bisogno di trovare nelle storie un po’ di speranza – e dal fatto che ho letto abbastanza libri in cui il male è talmente caricaturizzato che se al posto di certi personaggi avessero piazzato sagome di cartone con motori meccanico e cartelli con su scritto “cattivo bastardo irredimibile” non avrei notato la differenza.
Ci sono un’infinità di autori più recenti e famosi di alcuni di quelli che ho citato, ma la mia sete di gialli si estinse pochi anni dopo. In parte è dovuto al fatto che in quel periodo ne feci indigestione, ma più di tutti, la mia sete di fantastico scalpitava e iniziava a farmi trovare asfittici i gialli dal ritmo lento e struttura prevedibile del delitto- ipotesi – interrogare i sospetti e altra gente – altre ipotesi – eventuale pericolo mortale per l’investigatore – risoluzione finale. Bramavo disperatamente le lande del fantastico e, dopo anni, questa brama venne saziata da una fonte inaspettata: le light novel.
Ma questa è una storia che già conoscete (se non è così recuperatevi l’articolo!).
Sapevate che noi italiani diciamo “il giallo” per riferirci a una vastissima quantità di generi diversi – dal poliziesco alla spy story – grazie al successo della collana “I gialli Mondadori”? Avete un investigatore o investigatrice preferito/a? Vi piacciono i gialli, preferite i thriller o frequentate altri generi? Fatemelo sapere nei commenti e continuate a seguirmi!
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