Quasi a convalidare il vecchio adagio nemo propheta in patria, non tutti gli autori italiani sono apprezzati nel Belpaese. Perché? È una domanda a cui si possono dare molte risposte, dalla concorrenza estera alle difficoltà del mercato librario, ma a livello personale ho tre problemi con la letteratura italiana contemporanea. Ovviamente non tutti gli scrittori e scrittrici nostrani presentano questi difetti, ma si tratta comunque di tendenze la cui presenza è tanto innegabile quanto sgradita ai miei gusti.
Il primo problema è senza dubbio la totale mancanza di chiaroscuro. All’inizio del libro viene introdotta un’idea di bene e tutti i personaggi che la incarnano sono automaticamente degli eroi imperfetti mossi dalle più nobili intenzioni, mentre chi vi è in disaccordo è senza eccezione un mostro brutto, cattivo, crudele, del tutto incapace di empatia e di pensiero razionale o proprio. Certe storie richiedono una contrapposizione così netta per funzionare (ad esempio fantasy in cui l’umanità, per sopravvivere, deve uccidere i mostri), ma questo non vale quando l’autore ha la pretesa di rappresentare il nostro mondo così com’è. Mi ricordo di aver litigato con dei saggi riempiendoli di note sgomente per i passaggi in cui l’autore lamentava di dover portare pazienza con quei brutti stupidi che non la pensavano come lui. I libri scritti con la presunzione non solo di avere ragione su tutto, ma che ogni lettore la penserà come lui (dopotutto i mostri brutti e cattivi non sanno leggere) mi lasciano in bocca un gusto amaro. Il nostro mondo è sempre più polarizzato e sfortunatamente, molti libri lo riflettono; personalmente, preferisco quelli che pur distinguendo tra bene e male, non mancano di mostrare le sfumature, come un eroe troppo rigido che diventa un cattivo e uno dei cattivi che si rende conto di avere sbagliato. O un saggio ben documentato che attacca con argomenti solidi le posizioni avversarie, anziché gli avversari stessi con rabbia.
Un altro problema è la voluta incomprensibilità. Molti dei libri osannati dalla critica trattano (o vorrebbero trattare) tematiche serie con la prosa più impenetrabile che si possa immaginare. Ci sono manuali che per buone ragioni usano le parole specifiche della materia che trattano, ma gli abusi di paroloni ingiustificati vanno contro allo scopo per cui esistono i libri: comunicare. Se tutto ciò che vuole trasmettere un libro è quanto sia ampio il vocabolario di chi l’ha scritto, tanto vale comprarsi direttamente un dizionario. So che esistono concetti complessi, ma complicarli ulteriormente con un modo di esprimersi volutamente criptico è un delitto che nella mia carriera di studentessa universitaria ho sopportato abbastanza a lungo. Inoltre i libri della “cultura alta” non sono gli unici a presentare questo problema: ve ne sono molti altri, scritti con meno pretese, pieni di parole che soltanto chi appartiene a una determinata nicchia può capire.
Dante Alighieri, pur avendo un ottimo livello culturale, cercava di mettere le sue conoscenze a portata di tutti, scrivendo in volgare persino per parlare di Dio; a distanza di secoli è triste pensare che la sua lezione rimanga spesso inascoltata.
Il terzo problema è il rifiuto del fantastico. Gli autori di fantasy italiani esistono, basti pensare a Baccalario, Bianca Pitzorno o Elisabetta Dami (autrice di Geronimo Stilton), ma soltanto nella fascia dedicata ai più giovani. Che io sappia, non esiste una penna italiana come la Rowling o l’ottimo quanto inarrivabile Walter Moers, capace di creare un mondo fantastico con più livelli di lettura, con elementi dai libri per bambini misti ad altri per adulti. L’idea che il fantasy possa essere usato per parlare di tematiche più serie senza perdere la gioiosa leggerezza del fantastico ha scarsa presa qui in Italia, dove gli autori più seguiti sono persone molto serie che scrivono unicamente saggi, oppure libri per bambini. Il fantastico è un genere estremamente malleabile che a mio avviso merita molta più considerazione di quanta ne abbia qui. Questa sete insoddisfatta di fantastico è stata la molla che mi ha spinto a leggere le light novels, romanzi tradotti dal giapponese dove ne succedono di tutti i colori, tra eroi chiamati a sconfiggere mostri con la forza o la diplomazia o eroine capaci di grandi portenti, ma di questi parlerò un’altra volta.
Voi cosa ne pensate? Anche voi provate insofferenza per questi difetti o li vedete come pregi? Leggete autori italiani o stranieri e quali? Fatemi sapere nei commenti!
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